L'educazione alimentare infantile e l'obesità
L’educazione alimentare che si impara da bambini influenza il nostro rapporto con il cibo da adulti. L’esperienza alimentare è la prima forma di contatto del neonato con il mondo esterno. Il cibo è una delle prime forme di dipendenza dall’adulto che si prende cura del bambino, divenendo uno dei principali organizzatori psichici e relazionali per lo sviluppo del soggetto nell’infanzia. È importante aiutare il bambino a rapportarsi in modo equilibrato e corretto al cibo.
Le risposte dei genitori ai segnali del neonato hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della capacità di autoregolazione. L’appuntamento con la pappa non deve essere mai caricato di aspettativa e ansia ma deve essere vissuto, soprattutto dai genitori, con serenità ed equilibrio. Solo in questo modo il bambino vivrà l'alimentazione come un momento gioioso. Giocando con la pappa si impara anche ad assaggiarla. Il bambino comincia a conoscere e memorizzare stati corporei diversi attraverso le sensazioni che sperimenta durante l’alimentazione (tensione legata alla fame, rilassamento e benessere legati alla sazietà).
Le modalità di accudimento rispetto al cibo determinano la qualità delle sensazioni corporee che il bambino associa al cibo. Se positive, il bambino struttura un senso di fiducia nella possibilità di soddisfare le sue sensazioni di fame; se inadeguate, nel bambino prevale un senso di spaesamento e di non sintonia tra i suoi bisogni e le risposte che gli arrivano dall’esterno, determinando delle reazioni difensive e compensatorie, tanto più patologiche quanto più è precoce la necessità di attivarle.
E’ importante non trasformare il cibo in un’arma di ricatto affettivo. Il bambino non deve essere costretto a mangiare per far piacere alla mamma o per ottenere qualcosa. Il bambino deve imparare a riconoscere e soddisfare i suoi bisogni. Se mostra di non gradire alcuni alimenti non forzarlo.
Le difficoltà connesse all’alimentazione possono anche essere transitorie e associate a momenti particolari dello sviluppo come lo svezzamento, brevi separazioni dalla figura materna e solitamente tali difficoltà si risolvono spontaneamente e lo sviluppo riprende il suo corso armonioso.
Altre volte, invece, si assiste all’emergere di un vero e proprio disturbo alimentare. È importante che i genitori imparino a comprendere il disagio celato da una ipo- o una sovra- alimentazione dei bambini. Anche i bambini, come gli adulti possono instaurare con il cibo un rapporto patologico che, se non visto e riconosciuto dai genitori può trasformarsi in seguito in un disturbo alimentare. Trasmettere la convinzione che l’aspetto fisico sia fondamentale per raggiungere i propri obiettivi e sentirsi amati e soddisfatti o al contrario non prestare un adeguata attenzione al benessere fisico, spesso porta i bambini a sfogare le loro preoccupazione sul cibo. L’individuazione del disagio ad uno stadio precoce è spesso associata ad una risoluzione sintomatica più rapida.
Propongo di seguito un articolo riguardante l'obesità infantile scritto dalla Dott.ssa Rosa Cecere (Nutrizionista)
Obesità infantile: i genitori non la riconoscono
Dati dell’Oms relativi al 2013 affermano che, nel mondo, 42 milioni di bambini sotto i 5 anni sono da classificare come soggetti sovrappeso o obesi; per quel che riguarda l'Italia, i dati pubblicati a seguito dell’indagine Okkio alla Salute promossa dal Ministero della Salute, evidenziano come, al 2014, il20,9% dei bambini risulta in sovrappeso e il9,8% risulta obeso, con percentuali decisamente maggiori nelle Regioni del Sud e del Centro Italia. Dalle informazioni raccolte nell’indagine, inoltre, i genitori non hanno sempre un quadro corretto della situazione: tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, ad esempio, quasi il 40% non li ritiene tali e soltanto il 29% pensa che mangino troppo. A sostegno di tale constatazione arrivano peraltro anche i dati relativi ad una ricerca pubblicata sul Pediatrics e condotta alla Georgia University su circa 2.900 bimbi dai 6 agli 11 anni, la quale denuncia la persistenza della falsa convinzione dei genitori che i figli grassi dimagriranno crescendo.
Come dimostrano un’altra ricerca pubblicata sul Pediatrics, inoltre, parallelamente, al calare dell’attenzione dei genitori, tali soggetti sono sempre più frequentemente vittime di fenomeni di bullismo rispetto ai coetanei normopeso, l’indagine effettuata dai ricercatori dell’Università di Rotterdam su 4.364 bambini di 6 anni e mezzo, infatti, evidenzia come i piccoli obesi sono le vittime preferite dei soprusi dei compagni già a partire dal primo anno scolastico e, di conseguenza, diventano a loro volta, più aggressivi.
Claudio Maffeis, direttore dell’unità operativa diabetologia, nutrizione clinica ed obesità in età pediatrica all’università di Verona ed esperto di nutrizione per la Società italiana pediatria, Sip commenta: «Questi studi confermano su larga scala fenomeni noti purtroppo anche in Italia. I genitori tendono a sottovalutare il peso dei figli anche perché nell’infanzia il grasso si confonde. A 6 anni infatti un bimbo molto magro è da considerare nella norma, mentre quello che i genitori definiscono robusto può essere già obeso, secondo le tabelle pediatriche che tengono conto del rapporto fra peso e altezza. […] Altro errore comune è credere che il figlio grasso dimagrirà da solo con la pubertà, mentre ciò non si verifica affatto nel 40-70% dei casi».
Considerare l'obesità come una vera e propria patologia, caratterizzata da un eccesso di tessuto adiposo dovuto tanto ad aumento di volume, che quanto a quello del numero degli adipociti (le cellule che formano il tessuto adiposo) non è dunque un errore.
Fondamentale dunque è combattere l'obesità sin dall'età evolutiva, perché è l'adolescenza il periodo critico in cui si stabilisce "il potenziale di obesità di un individuo", dato dal numero di adipociti. Nella fase adolescenziale infatti, il numero delle cellule adipose aumenta significativamente, per poi rimanere all'incirca invariato per il resto della vita. E' dunque importante prevenire un aumento eccessivo del tessuto adiposo e del numero di adipociti.
In un soggetto normopeso il numero delle cellule adipose è di circa 25-30 miliardi, nei soggetti obesi tale valore sale mediamente tra i 40 e i 100 miliardi. E’ facile dedurre quindi che un bambino sovrappeso/obeso sarà di sicuro un adulto sovrappeso/obeso dato che ha sviluppato un numero maggiore di cellule adipose.
Tra le conseguenze più gravi dell'obesità in età infantile, le più frequenti sono rappresentate da problemi all'apparato respiratorio (apnea notturna, affaticabilità), a quello osteoarticolare (varismo-valgismo arti inferiori, ridotta mobilità articolare, piedi piatti), a quello digerente e a quello cardiocircolatorio (incapacità di rispondere in maniera adeguata ad uno sforzo, anche di lieve intensità.)
«L’obesità infine non espone i piccoli solo a rischi metabolici ma frequentemente anche a problemi di natura psico sociale - conclude l’esperto - L’obeso viene emarginato e preso in giro in classe, con conseguenze anche gravi di tipo psicologico che non andrebbero trascurate».
Quando si parla di obesità infantile?
Il Ministero della Sanità definisce obeso un bambino il cui peso supera del 20% quello ideale, e in sovrappeso se lo supera del 10-20%; in alternativa, lo definisce tale quando il suo BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea, che è uguale al peso in Kg diviso l'altezza in metri elevata al quadrato) è maggiore del previsto. La crescita ponderale del bambino viene calcolata facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età. (Confalone, 2002).
Secondo degli studi effettuati dal NCHS (Centro Nazionale di Statistiche per la Salute Statunitense), la crescita è nella norma se si pone intorno al 50° percentile, mentre più si supera il valore medio più aumenta il rischio di obesità; pertanto, dal 85° al 95° percentile il bambino viene definito sovrappeso mentre dal 95° percentile viene definito obeso. (Kuczmarski, 2000).
Esempio: un bambino di 6 anni alto 1,25 m e con un peso di 34 kg (BMI=21.8 dato da 34/1,252) è obeso, il suo peso dovrebbe essere all’incirca di 24 kg.
Dott.ssa Rosa Cecere Nutrizionista
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Articolo divulgativo a cura di Dott.ssa Cristina Puglia Psicologa e Psicoterapeuta